Ha senso parlare di “sostenibilità” nel tuo marketing? Ha senso dire che utilizzi packaging biodegradabile, carne da allevamenti sostenibili, che sei plastic free, che le verdure sono tutte da orto sinergico, che pianti alberi e che sostieni le comunità locali di respiriani? Il riassunto è “no”, ma ne discutiamo più approfonditamente tra pochissimo.
Ciao, bentrovata e bentrovato in Radio Ristorazione, il podcast di RISTORATORETOP dedicato al mondo della ristorazione. Qui al microfono c’è il tuo, il vostro, il nostro Lorenzo Ferrari che come al solito sarei poi io.
Ci sono tematiche che ci riguardano tutti che definisco “asimmetriche”.
Infatti c’è una asimmetria tra ciò che l’opinione pubblica reputa importante e persino urgente ma che poi, quando si tratta di mettere mano al portafogli oppure attuare un reale cambiamento che la riguarda, l’opinione pubblica fa spallucce e se ne frega.
Insomma…
…C’è una grande differenza tra ciò che la gente dice e tra ciò che la gente fa.
C’è una grande differenza tra ciò che la gente reputa importante e tra ciò che la gente compra.
Prendiamo un campione eterogeno di 100 persone. Chiediamo loro cosa ne pensano della beneficenza, Cosa ti aspetti che rispondano?
“Importantissima, filantropica, essenziale, top.”
Bene. Ora chiediamo allo stesso campione: “Chi di voi, nell’ultimo anno, ha speso più di 1.000€ in beneficenza o più di 50 ore in attività di volontariato o in generale attività altruistiche?”
Come potresti immaginare, le cose cambierebbero parecchio. Vedremmo tanti occhi al cielo, tanti sguardi corrugati e tanta riservatezza.
Ancora, chiedi al tuo vicino di casa se vorrebbe vedere più o meno documentari in TV e senti cosa ti risponderebbe:
“Beh, certo, sono molto interessato alla velocità massima del gheparto o all’apertura alare dell’albatros.”
Chiedigli quanti documentari ha visto nell’ultima settimana e ti si chiariranno molti aspetti.
Questa asimmetria si applica paro-paro alle tematiche legate alla sostenibilità.
E per “sostenibilità” intendo tutto ciò che dovrebbe, in qualche modo, direttamente o indirettamente, salvare il pianeta dal riscaldamento globale, dalla siccità, dalle frane ai terremoti alle alluvioni e dalle varie sfighe che ci riguardano da vicino. O comunque contribuire a dare una spinta positiva al tutto.
Se lo chiedi in giro, è importante per tutti, è una delle tematiche più centrali di questo e del prossimo secolo, è un qualcosa di fondamentale, urgente persino, da mettere in pratica adesso.
Tuttavia, se osservi cosa la gente fa, compra e vota, è abbastanza palese che non freghi un cazzo a nessuno.
Ti porto due esempi che ultrasemplificano il discorso e persino lo banalizzano un po’, ma credo siano centrati.
Il primo è il grafico dell’andamento di Beyond Meat. Te lo ricordi quell’hamburger plant-based che ha fatto il botto qualche anno fa? Ecco, Beyond Meat è l’azienda che lo produce e commercializza e che oltre al burger fa tante altre cose: salsicce, insaccati ecc. ecc.
Ho sotto agli occhi il grafico e puoi vederlo sul nostro blog www.ristoratoretop.com/blog o comunque cercandolo su Google.
Te lo descrivo a grandi linee: dopo la quotazione iniziale il titolo ha avuto alti e bassi con punte altissime prima del 2020, poi è andato stabilizzandosi e ora è in un crollo lento ma inesorabile da praticamente due anni.
Certo, tutta la borsa mondiale è ai minimi e l’andamento di qualsiasi indice finanziario è parecchio sovrapponibile, almeno nell’ultimo periodo a quello di Beyond Meat. Però è innegabile che il trend in discesa non sia iniziato l’altro ieri o in concomitanza con la terza guerra mondiale, tanto che il titolo ha perso il 62% dalla sua quotazione, perdendo oltre 41$ ad azione.
È un segnale che qualcosa scricchiola. Si è passati da “Tra 10 anni nessuno mangerà più hamburger di carne” a “Non ne sono poi così tanto convinto, e poi quel manzo non era così male…”
Il secondo caso riguarda MiScusi, nota catena meneghina, espansa un po’ in tutto il nord Italia e descritta dagli uffici stampa di mezza Italia come il prossimo “Unicorno” italiano.
Il problema? Che dopo un botto iniziale ora i bilanci sono un disastro e parecchi punti vendita sono in declino, altri in chiusura.
I motivi di ciò sono tantissimi, variegati, sfaccettati e io posso solo ipotizzare da che parte sia la colpa. Non faccio parte del loro CDA e tantomeno sono nei loro uffici marketing.
Però, parte della colpa, secondo il mio parzialissimo, modestissimo e umilissimo parere, è nelle loro strategie e scelte di marketing. Da qualche anno, infatti, Miscusi è passata dall’essere un pasta-restaurant dai valori italiani e tradizionali a qualcosa di più innovativo, rivoluzionario ma anche controverso. E soprattutto, almeno a mio giudizio, irrilevante per il target a cui si rivolgono.
Se vado sul loro sito da qualche tempo campeggia grande e fiera la scritta:
“FAR DIVENTARE LA NOSTRA LISTA DELLA SPESA PIÙ POTENTE DI UN’AUTO ELETTRICA”
E la comunicazione è parecchio incentrata sulla sostenibilità, sulla rivoluzione alimentare e su un nuovo modo di intendere un piatto di pasta.
Tutto questo si concretizza in fusilloni di sorgo, trofie ai grani antichi e rigatoni di ceci. Quindi la scelta di farine alternative, della promozione della biodiversità e e via discorrendo. In una parola? SOSTENIBILITÀ.
Più di una volta mi son trovato a pensare, dentro ai loro locali: “Miscusi, avete anche un normalissimo piatto di pasta per un normalissimo cliente che non vuole salvare il pianeta ma semplicemente… Mangiare?”
E sotto nel loro sito aleggia una scritta gigante con su scritto “Perché fa bene?” a conferma del fatto che questi concetti non solo vanno introdotti, ma vanno persino spiegati e ampliati. Giustamente eh, ci mancherebbe.
Da qualche tempo quando si parla di Miscusi non c’è più quell’hype, non c’è più quel chiacchiericcio e quella energia che c’era qualche anno fa.
Perché è chiaro che ad un certo tipo di target queste temi “sostenibili” suonano come privazioni, mancanza di gusto, non-tradizionali e pertanto generano diffidenza, distanza e scetticismo.
Quando penso ad un piatto di pasta ho in mente la nonna che tira la sfoglia, ho in mente un ripieno generoso e godereccio, ho in mente immagini di tovaglioli sporchi di pomodoro, il ragù che ribolle nella pentola.
La pasta è amore, tradizione, famiglia, comfort totale. Penso ad un piatto di tortelli e mi sto già slacciando la cintura, anche se non la uso perché sono un fanboy delle bretelle.
E inizialmente il marketing di Miscusi era proprio questo. Faceva venire fame solo a guardarlo. Ed erano riusciti nell’impresa titanica di mettere d’accordo gli italiani su un piatto di pasta, una missione così improbabile che tutti li davano per spacciati.
Oh, ci stavano riuscendo!
E invece ora mi vengono proposti i fusilloni al sorgo e gli spaghetti ai ceci. A parte che il solo dire “sorgo” mi fa venire in mente una malattia terribile, a sto punto mi aspetto che il prossimo passo sia la farina di grilli e cavallette perché più sostenibile di quella di grano duro. Non so, sono il solo che vede una stonatura?
Intendiamoci: stanno cercando di fare qualcosa di realmente rivoluzionario, e io auguro loro tutto il bene possibile perché credo che sia un’iniziativa benevola per il mondo intero e credo che ne siano genuinamente convinti e che non sia soltanto un’operazione commerciale per coinvolgere giornali e media.
Credono che vogliano davvero salvare il mondo.
Ma mi sorgono due domande:
- Il mondo è pronto?
- Il mondo vuole essere salvato da Miscusi?
E poi un’altra domanda:
“Non è che il mondo vuole semplicemente mangiare un ottimo piatto di pasta, in un ambiente figo e ricercato, servito con il sorriso da personale che si diverte nel fare quel che fa?”
La mia risposta è che il mondo non è pronto e il mondo non vuole essere salvato da Miscusi e sì, il mondo vuole un piatto di ottima pasta italiana.
Io di mestiere guardo e osservo la gente al ristorante, al bar, in trattoria e in osteria. E io vedo gente che quando esce a cena non lo fa per salvare l’universo o per preservare la fauna antartica e salvare il koala nano dall’estinzione, ma lo fa per mangiare, bere e divertirsi.
La gente esce di casa per mangiare, bere e divertirsi.
Costi quel che costi. Se di mezzo c’è il destino dell’universo o le sorti di una tribù australiana, sticazzi, mi faccia un Negroni e non sia parco nel versare quel gin.
Miscuseranno quelli di Miscusi, ma il tema è uno solo: le persone sono focalizzate su di loro stesse. Si chiedono sempre e comunque:
“Cosa c’è per me?”
“Com’è che questa tua scelta riguarda me?”
“Bello il marketing, bello che salvi l’universo, ma io? Io? Quand’è che pensi a me?”
Le persone sono egoiste, scettiche, resistenti al cambiamento. Green e salutistiche fino a quando non gli tocchi i loro consumi e le loro abitudini. Prova a dire che il wi-fi è una tecnologia energivora e che per salvare il pianeta dobbiamo rinunciarvi e andare a vivere tutti in montagna a coltivar patate e broccoli. Scatta la rivoluzione, ma quella vera!
Ormai sono tre le cose sacre in Italia: il calcio, la mamma e il wifi illimitato.
Per concludere: non vuole essere un attacco a Miscusi, anzi spero che prendano queste critiche come costruttive e soprattutto che diano ad esse un peso relativo, visto che arrivano da una persona che non è “dentro” il loro format come lo sono loro, ma che li ha vissuti solamente da cliente. Auguro loro di spaccare tutto e di portare in giro per il mondo il buon nome della pasta e dell’italianità.
Ma da cliente, a me manca il Miscusi di qualche anno fa. E credo che siano ancora in tempo per fare un dietrofront.
Arriviamo al dunque.
Per te, che fai il ristoratore, ha senso parlare di packaging biodegradabile, cibo plant-based e in generale di sostenibilità?
Nì, ma…
…Dipende dal target a cui ti rivolgi.
Dividiamo il target là fuori in due grandi metà:
- I sensibili alle tematiche sostenibili;
- Gli insensibili alle stesse.
Se parli di sostenibilità attiri il primo target e risulti indifferente al secondo.
Nel senso che non troverai mai, tra gli insensibili, qualcuno che ti darà addosso per le tue scelte, ma di certo non riuscirai a convertirne uno a smettere di mangiare bistecche per salvare un Panda dall’altra parte del mondo.
Quindi dicevamo, attiri quelli sensibili, risulti indifferente verso gli insensibili.
Parliamo un poco dei sensibili alle tematiche sostenibili.
Sai qual è la grande verità? La grande verità è che rischi di pestare delle merde giganti. Per due ragioni.
- Il target sensibile alle tematiche legate alla sostenibilità è MOLTO esperto e MOLTO critico. Non sono degli sprovveduti. Anzi, è probabile che ne sappiano più di te. E se non sei veramente sostenibile e veramente attento come loro, rischi di fare delle figuracce epocali. Ad esempio, il ruolo della plastica è largamente dibattuto quando si parla di sostenibilità. C’è chi dice che è riciclabile all’infinito e c’è chi dice di no. Io, da ingegnere dei materiali mancato dico che dipende, e che c’è plastica e plastica, ma la tematica è ben lontana dall’essere risolta. Diciamo che tu credi che la plastica sia riciclabile, quindi “green”, e diciamo che lo comunichi così. Ma diciamo anche che la maggior parte delle persone vede la plastica come il demonio, il male assoluto, l’incarnazione di Bapometto e Lilith uniti in un’unico, gigantesco, mostro. Come ne esci? Ti metti a discutere con qualsiasi cliente varchi la porta del tuo locale? Capisci che è complicato?
- Le tematiche legate alla sostenibilità sono ben lungi dall’essere spiegate nei minimi dettagli. Sono argomenti tuttora dibattuti e controversi. Non c’è la verità assoluta e definitiva a riguardo. Ci sono solo teorie. E non è detto che le teorie nelle quali credi tu sono le stesse a cui credono i tuoi clienti sensibili.
Quindi se hai la fortuna di non rivolgerti a degli invasati, c’è il caso che trovi dei clienti in target che saranno con te per sempre perché sposano la tua visione e ci credono tanto quanto te. In quel caso, vai avanti e comunica sostenibilità come se non ci fosse un domani.
Mi viene in mente Linfa a Milano, nostri clienti bravissimi, che stanno spaccando con un ristorante plant-based, tanto che stanno arrivando velocemente nelle primissime posizioni su Tripadvisor a Milano nella classifica generale. Certo, sono a Milano, quindi si rivolgono ad un target ampissimo e sono dei campioni del mondo. Ma si può fare.
E mi viene in mente Aquafaba, in Svizzera, che con un ristorante vegano ha piacere di spingere sulle tematiche legate alla sostenibilità e sta ottenendo un ottimo riscontro da parte della propria clientela.
Ma il senso di ciò che dicevo non cambia.
Se parli di sostenibilità, devi farla per davvero, perché altrimenti chi ci crede per davvero ti fa le pulci e pretende da te coerenza massima, com’è giusto che sia, mentre nei riguardi chi non ci crede o non se ne interessa semplicemente non esisti.
Sappi anche che, ad oggi, se lo fai, ti rivolgi ad un target PICCOLO. Ti ho già spiegato a lungo perché.
Infine, un monito, importantissimo e fondamentale che ti chiedo di non dimenticarti.
Posto che parlare di sostenibilità è una tua personalissima scelta, se decidi di farlo, ricordati di aggiungere un pezzetino e di…
Trasformare le caratteristiche in beneficio.
Mi spiego meglio tra poco, ma prima stampati questa cosa in testa: il tuo pubblico si chiederà sempre e comunque: “Cosa c’è per me?”
Come, questa tua scelta, riguarda me? Non il mondo che mi circonda, non l’universo tutto, non i canguri albini, non le farfalle del Madagascar, non i Maori.
Ma ME.
Io, io, io e io.
Tu, brand, ristorante, osteria, trattoria, fai scelte sostenibili. Ma questa cosa riguarda gli elefanti della Savana o riguarda me? E se riguarda me, come mi riguarda? Quella pasta al sorgo è più buona di una normalissima pastasciutta? O è un esercizio di stile per far vedere quanto ce l’hai lungo? O, peggio, è una mossa di marketing per circuirmi? Quella carne da allevamenti sostenibili è più o meno buona di quella allevata a schiaffi e brutalità? Quella verdura bio quando la mangio mi fa godere o mi sembra becchime per pennuti?
Non dimenticarti dei fondamentali.
Il marketing, tra le tante cose, si occupa di tradurre le caratteristiche in benefici.
“Da allevamenti sostenibili” è una caratteristica. “Più morbida e succosa” è un beneficio.
“Verdura BIO” è una caratteristica. “Sapore intenso e concentrato” è un beneficio.
“Spaghetti al sorgo” è una caratteristica. “Gusto autentico, come quelli di una volta” è un beneficio.
Se vuoi comunicare sostenibilità non puoi prescindere dal comunicare il beneficio, perché credi a Lorenzo, della caratteristica non frega un cazzo a nessuno. Così come, purtroppo, non frega un cazzo a nessuno di salvare l’universo, la foresta Amazzonica o la tribù che vive sperduta nei monti del Tibet.
Il cliente si chiede cosa c’è per lui, com’è che quelle scelte lo riguardano, che vantaggio può trarre lui dal scegliere ciò che tu hai scelto per lui. Non dimenticarti dei fondamentali.
Prima dei saluti, ti ricordo due cose:
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Ci sentiamo nella prossima puntata di Radio Ristorazione.
Non perderla e continua a seguirci.
Come al solito…
#daicazzo.
© Lorenzo Ferrari
RISTORATORETOP®