Perchè Starbucks apre in Italia solo adesso? E cosa succederà ai Bar?

Perchè Starbucks apre in Italia solo adesso? E cosa succederà ai Bar?

EDIT: Questo è un articolo di 3 anni fa, anche se è estremamente attuale, come avrai modo di constatare. Buona lettura!

Lo so, lo so. Se ne parla da vent’anni e ogni volta viene smentito. Ma questa volta dovrebbe essere vero per davvero.

Diverse testate giornalistiche hanno lasciato trapelare la notizia che non sembrerebbe una bufala: Starbucks apre in Italia. Ne hanno parlato in maniera superficiale un po’ tutti su qualunque rivista online.

Ora, a noi non interessano i pettegolezzi sul perchè abbiano deciso di aprire oggi e non ieri, nè tantomeno interessa l’apertura a livello “fan” per sapere indirizzi e menù.

Quindi, se stai leggendo questo articolo perchè non hai un opinione a riguardo e vuoi rubarla a qualcuno, cerca su google e scoprirai che nessuno si è risparmiato dal dare la propria. Ruba quella.

A noi interessa l’aspetto “commerciale”.

Ci interessa sapere se cambierà — e come — il modo di fare business dei vari concorrenti di Starbucks. Ci interessa sapere se lo sbarco di Starbucks in Italia cambierà le abitudini degli italiani. E ci interessa sapere anche se questa avventura tutta italiana del colosso internazionale avrà un esito positivo oppure no. In questo articolo rispondiamo a (quasi) tutte le domande sul caso Starbucks-Italia.

Per fare questo, iniziamo dal comincio.

Cos’è Starbucks e perchè ha successo? Tre evidenze che dovrebbero preoccuparti se servi caffè nel tuo locale.

Starbucks è la più grande catena di caffetterie al mondo.

Il primo punto vendita viene aperto nel 1971 a Seattle, e lì rimane fino al 1982, dove avviene l’inizio della svolta.

La scalata aziendale inizia proprio in quel lontano 1982, ed è dovuta ad un personaggio, Howard Schultz, che entra in azienda come manager e finirà per diventarne proprietario e CEO. E sì, la leggenda narra che Schultz si sia ispirato proprio ai bar di Milano per creare il concept che noi tutti oggi conosciamo.

(a riprova del fatto che in Italia siamo molto bravi ad avere belle idee, ma pessimi nel trasformarle in realtà)

Comunque, ti ho detto che Starbucks è la catena di caffetterie più grande al mondo. Ma grande quanto?

A giugno 2015 contava all’attivo 22.519 unità in 67 stati al mondo.

Ventiduemilacinquecentodiciannoveunitàinsessantasettestatialmondo.

Abbiamo quindi la prima evidenza: Starbucks è un colosso di dimensioni bibliche. Colosso = MOLTO budget a disposizione. Questa parte ricordatela perchè nel proseguo dell’articolo diventa importante.

Ma comunque, perchè tutto questo successo?

I motivi sono molteplici. Uno dei più importanti è ciò che rende davvero unico ed inimitabile Starbucks: il fatto che sia considerata dal proprio pubblico una sorta di “third home“, ossia una “terza casa”. Un luogo di completo relax, d’evasione, l’alternativa perfetta al caffè tra le mura domestiche e quello di corsa tra una riunione lavorativa e l’altra.

Aggiungiamoci:

  1. L’atmosfera un po’ hipster e un po’ metropolitana che attira ragazzini armati di iphone come l’ape è attirata dai fiori;
  2. Il wi-fi gratuito;
  3. Il personale cortese e competente che ti domanda i tuoi gusti e scrive il tuo nome sulla tazza di caffè (!);
  4. Gli spazi che sono ampi, puliti e totalmente vivibili;
  5. Il fatto che per andare in bagno non serve “la chiave“, ma è accessibile a tutti;
  6. Il fatto che non ci siano limiti di permanenza all’interno dei loro locali;
  7. Il fatto che siano più bravi, in media, di noi italiani a fare il caffè;

E non possiamo sorprenderci di come il concept sia così popolare, conosciuto e apprezzatissimo in tutto il mondo.

Insomma, la seconda evidenza è che l’esperienza che offre Starbucks piace. E’ inutile parlare di “gusti” in questo caso. C’è ovviamente chi lo ama e chi lo odia, ma il suo pubblico lo adora! E questo è fuori discussione.

E la terza evidenza è che sanno fare il caffè per davvero, a differenza nostra.

Queste tre evidenze, se lette in quest’ordine:

  1. Starbucks ha un budget enorme.
  2. Starbucks ha un brand che piace. Molto.
  3. Starbucks sa fare il caffè oggettivamente.

Dovrebbero farti alzare le antenne. Perchè sulla base di queste tre evidenze ci sono ottime probabilità che Starbucks abbia MOLTO successo anche in Italia.

Ma sicuramente avrai delle obiezioni…

Obiezione #1: L’Italia è la patria dell’espresso! E il caffè di Starbucks fa cagare!

Apro una piccola parentesi riguardo alla qualità del prodotto che servono gli Starbucks, perchè so già che sei in piedi davanti al PC, urlante, indignato, con sete di vendetta per la sfacciataggine di questa affermazione e di solito sono sempre d’accordo con te Lorenzo ma questa potevi risparmiartela è risaputo che noi siamo la patria dell’espresso e la moka napoletana e l’arte che ci contraddistingue da generazioni e bla bla bla.

Ora, se mi segui da un po’ saprai perfettamente che parlare di qualità non ha senso.

Potremo passare eoni a discutere se sia più buono il caffè di Starbucks o quello di Paolo il barista, ma non ne caveremmo un ragno dal buco. Perchè avremmo ragione entrambi: ciò che piace a te può non piacere a me, e viceversa. Fine. Non c’è bisogno di argomentare oltre.

Però è fuori da ogni dubbio che in Italia manchi CULTURA riguardo al caffè. Se analizzassimo la media dei bar italiani che servono caffè — o quello che loro chiamano caffè — scopriremmo una qualità INFIMA.

Miscele di scarto, nella migliore delle ipotesi robuste, da pochi euro al chilo, tostate approssimativamente e quando va bene carbonizzate.

Perchè? Perchè il barista-medio non è un professionista, è un tizio che non aveva altre alternative se non quella di comprarsi un lavoro dentro ad un bar.

Lo so che ci sono dei campioni del mondo anche nel settore bar. Ne vado orgoglioso e a loro auguro il meglio. Ma non mi interessa se su 100 bar mi trovi l’eccellenza che fa il caffè come si deve. Certo che ci sono! Li conosco anche io, e se ho voglia di un caffè come so deve so dove andare.

Ma quella è un’eccezione, non la regola. La regola è una qualità sotto gli standard minimi. Ti cito un parere di Daniele Lanza espresso nel nostro gruppo privato su Facebook, così ci dividiamo gli insulti:

Cattura

E so anche che sei andato a Londra, sei entrato in uno Starbucks, hai ordinato un espresso e un cornetto e ti hanno fatto schifo.

Lo so perchè ho fatto la stessa cosa decine di volte anche io prima di rendermi conto che non stavano sbagliando loro, STAVO SBAGLIANDO IO!

Starbucks ha più di 30 miscele di caffè differenti, che spaziano dai blend più rinomati, alle selezioni mono-origine fino alle riserve. Sul loro sito web hanno addirittura un processo in tre step che, a seconda delle risposte che fornisci a tre domande specifiche, ti consiglia il caffè migliore per te o la miscela più adatta ai tuoi gusti.

(Quanti bar o baristi in Italia possono vantare lo stesso?)

Solo che, non sapendolo, ogni volta che entri in uno Starbucks e ordini un espresso loro ti servono in automatico la miscela della casa, che varia da paese a paese, da punto vendita a punto vendita ed è a completa discrezione del titolare.

Quindi se ti va bene bevi un caffè decente, se ti va male bevi un caffè di mer*a. Per assurdo rischi che sia peggio di quello che bevi in Italia (lo so, è dura, ma tant’è)

Ma la colpa non è di Starbucks, è di chi ci entra con l’approccio sbagliato!

Chi compie questo errore sta approcciando Starbucks come se fosse il Bar Jolly sotto casa sua. Ma Starbucks non è il Bar Jolly sotto casa sua.

Perchè da Starbucks il caffè lo sanno fare per davvero, e lì dentro la scelta accontenta tutti, dall’amatore al degustatore, solo che l’italiano medio non lo sa.

Non lo sa.

E anche se lo sapesse, non saprebbe comunque scegliere, perchè non è acculturato a riguardo. Non è educato. Non è consapevole della scelta che compie. Nella sua testa vale l’equazione caffè = tazzina di coso amaro e acidulo che mi tiene sveglio, e non caffè = bevanda.

Questo aspetto va a braccetto con un’altra grande macro-caratteristica che l’italiano da per scontato quando si parla di caffè: il prezzo. Infatti l’obiezione che viene sempre posta riguardo a quello americano è la seguente.

Obiezione #2 — Eh vabbè ma il caffè in Italia costa 1€! Quello di Starbucks costa il triplo!

La faccio breve. Se Starbucks aprisse per davvero e riuscisse a piazzare il caffè al triplo del prezzo di un espresso normale, io (e te) dovremmo incazzarci come dei serpenti.

Non perchè sta prendendo per i fondelli i consumatori, ma perchè NOI abbiamo perso la grandissima opportunità di inventarci un caffè al triplo del prezzo normale prima di lui.

Se Starbucks riuscisse a vendere caffè ad alto prezzo mentre noi non ci siamo riusciti per anni, non sarebbe lui il truffatore, saremmo noi i polli.

Per le ragioni che ti indicavo poco più sopra: l’italiano medio non ha minimamente idea di cosa stia bevendo. Non sa NIENTE di cosa ci sia dentro quella tazzina. Potresti dargli da bere un infuso di pneumatico, e lui se lo berrebbe tranquillamente, senza battere ciglio.

E questa ignoranza, questa mancanza di educazione, questa inconsapevolezza latente ha sempre rappresentato una grandissima opportunità per qualunque ristoratore o barista in Italia.

E lo rappresenta tuttora. Perchè c’è la possibilità di EDUCARE il consumatore a bere caffè BUONO e che quindi COSTA DI PIU’. Di qualità, ad un prezzo ragionevolmente più alto di quello normale. Qualsiasi cosa significhi per te “qualità” e “prezzo ragionevolmente più alto”.

Perchè non è scritto dentro la costituzione che il caffè debba costare 1€.

E’ una convinzione sciocca, un retaggio culturale di un’Italia che sta scomparendo e che scomparirà sempre più velocemente, fatta di baristi improvvisati che aprono un’attività facendo affidamento sulle macchine in comodato d’uso, sull’insegna regalata dalla torrefazione e sul bancone offerto dal fornitore di fiducia.

Ed è pure un limite gigantesco allo sviluppo di una grande catena di bar italiani, tra i motivi principali per i quali non si è ancora sentito parlare di un franchising a livello nazionale di questo genere.

Pensaci: come si può sviluppare un business SOLIDO e REPLICABILE vendendo caffè a 1€ l’uno?

La risposta è che non si può.

Infatti chiunque ci abbia provato, e la storia ci è testimone, si è trovato SEMPRE nella condizione di dover estendere la linea, aggiungendo i tabacchi, il salato, gli aperitivi, i pranzi veloci, le cene e via discorrendo. L’alternativa è rimanere intrappolato dentro al proprio bar per sempre, per abbassare i costi del personale e non trovarsi di fronte all’evidenza che vendere caffè ad 1€ l’uno sia un suicidio commerciale.

I più “arguti”, per aggirare il problema prezzo, l’hanno aumentato di dieci centesimi! Ti rendi conto?

Ed ecco il caffè a 1,10€, ovvero il modo migliore per fare un danno a tutti: sia a chi il caffè lo acquista, che si trova con il fastidio di avere le tasche piene di monetine inutili, e sia chi il caffè lo vende, che si vede aumentare i fatturati di una percentuale ridicola.

Per fare business con il caffè il caffè DEVE costare 2, 3, 4 euro. O più. Prova a buttare giù un business plan. Fai parlare i numeri. E scoprirai che è come ti dico.

E tu devi imparare ad attirare clienti che siano disposti a spendere di più per il tuo caffè, esattamente come fa Starbucks. E se ti stai chiedendo come puoi attirare questo genere di clienti, qui c’è la risposta che cerchi.

Obiezione #3 — Sì ok ma l’italiano il caffè è abituato a prenderlo diversamente! Altro che questi beveroni americani!

Il discorso “abitudine” mi fa sempre sorridere.

Sono DECENNI che vengono continuamente scardinate le abitudini più consolidate a favore di altre, decisamente più europee e internazionali, eppure continuiamo ad arroccarci sopra al nostro castello di provincialismo e cultura del quartierino.

Alcuni esempi famosi:

  1. «In Italia la gente vuole il negoziante sotto casa! Altro che catene!»
    Il tutto mentre Zara, H&M, OBI, MediaWorld, Ipercoop e affini proliferavano come conigli facendo fallire miriadi di negozietti.
  2. «In Italia la gente mangia bene! Altro che ‘sti hamburger americani!»
    Contemporaneamente, McDonald’s, BurgerKing, America Graffiti e la mania degli hamburger gourmet conquistavano la penisola.
  3. «L’italiano beve vino! Mica malto fermentato!»
    Birre ovunque e chiunque ha un amico che in garage fa la sua. Birre sulle fottute pareti.
  4. «La pizza è italiana e di qualità! E non si tocca!»
    Nel frattempo Spizzico continuava a stuprare l’idea di pizza e Domino’s Pizza sbarcava a Milano.
  5. Ecc. ecc.

Fidati di me, ci sono solo due cose eterne ed intoccabili in Italia: il calcio e la mamma.

Il resto è da mettere in discussione.

Ormai l’Italia è un paese diviso in due: da una parte i conservativi della vecchia guarda, tradizionalisti e integerrimi nelle loro opinioni, dall’altra gli esterofili, sempre più aperti alle novità, al nuovo e alla globalizzazione.

Resta da capire in che proporzioni siamo così suddivisi e se la seconda metà peserà in maniera soddisfacente per l’azienda di Seattle sopra la bilancia del fatturato.

Il tempo ci dirà se anche l’abitudine dell’italiano di bere caffè di corsa al bancone cambierà.

E’ strano pensarlo, sarà difficile che accada, servirà tempo, non è detto che sia la scelta migliore da fare ma è possibile. Probabile anzi. Quindi, se hai un bar o servi caffè nel tuo Ristorante, occhi aperti, perchè le brutte notizie non arrivano mai sole.

Ok Lorenzo, ma se è tutto rosa e fiori come dici, allora perchè Starbucks apre solo ora in Italia?

Tutti abbiamo un opinione a riguardo.

Lo sai meglio di me che l’Italia è un paese formato da allenatori della nazionale e da politici di professione.

Io taglio la testa al toro. E a questa domanda lascio rispondere Howard Schultz, visto che si era già espresso diverse volte a riguardo. Qui una delle tante interviste.

Il punto su cui fa leva Schultz è il seguente:

«Ehm regà, ma chi me lo fa fare di investire in Italia quando il resto del mondo è 185847231 volte più allettante?»

Come biasimarlo?

Perchè una persona non innamorata dell’Italia — come purtroppo siamo TUTTI noi che ci ostiniamo a combattere per una causa che pare sempre più persa — dovrebbe investire in questo paese?

Un paese dove:

  1. La burocrazia per aprire UN locale è l’equivalente di una sassata sui genitali (prova anche solo ad immaginarti cosa debba voler dire aprirne 100 in 5-10 anni);
  2. Le tasse sono a livelli che guarda è meglio che non ne parliamo;
  3. Alla classe politica basta che ci sia qualche euro da rubacchiare qui e là e il resto va bene così;
  4. Chi ce la fa viene visto come un porco e un venduto, vedi recentemente caso GROM ceduto ad Unilever.
  5. La concorrenza nel comparto bar è tra le più aggressive d’Europa.

Seriamente, chi glielo fa fare?

Per farti capire la gravità della situazione, questi sono solo parte dei paesi nei quali Starbucks ha investito anche solo PRIMA di pensare di avallare la lontanissima ipotesi di investire in Italia:

  • Argentina
  • Aruba
  • Australia
  • Austria
  • Bahamas
  • Bahrain
  • Belgium
  • Bolivia
  • Brazil
  • Brunei
  • Bulgaria
  • Canada
  • Chile
  • China
  • Colombia
  • Costa Rica
  • Curacao
  • Cyprus
  • Czech Republic
  • Denmark
  • Egypt
  • El Salvador
  • Finland
  • France
  • Germany
  • Greece
  • Guatemala
  • Hong Kong
  • Hungary
  • India
  • Indonesia
  • Ireland
  • Japan
  • Jordan
  • Korea
  • Kuwait
  • Lebanon
  • Macau
  • Malaysia
  • Mexico
  • Monaco
  • Morocco
  • Netherlands
  • New Zealand
  • Norway
  • Oman
  • Panama
  • Peru
  • Philippines
  • Poland
  • Portugal
  • Puerto Rico
  • Qatar
  • Romania
  • Russia
  • Saudi Arabia
  • Singapore
  • Spain
  • Sweden
  • Switzerland
  • Taiwan
  • Thailand
  • Turkey
  • United Arab Emirates
  • United Kingdom
  • United States
  • Vietnam.

Noi stiamo a pettegolezzare su Starbucks sì o Starbucks no, arrivando a ipotesi deliranti, e in Turchia, in Vietnam e persino a Macao apre senza neanche pensarci, portando occupazione, benessere e SOLDI.

Quello che voglio arrivare a dire è che se Starbucks non ha investito in Italia fino ad oggi non è perchè ci reputava MEGLIO di altri paesi — più bravi a fare il caffè, abituati meglio, con i prezzi più contenuti — e ha paura di farsi male aprendo in Italia.

Ma semplicemente perchè ci considera PEGGIO.

Perchè siamo ritenuti POCO INTERESSANTI dal punto di visto ECONOMICO, POLITICO E FINANZIARIO.

Fa male anche a me ammetterlo, ma è così.

Comunque, non ho solo brutte notizie.

Perchè se Starbucks apre in Italia è una TRIPLICE opportunità.

Aldilà degli aspetti scontati relativi ad una nuova azienda che investe in Italia (portando, di fatto, benessere per tutti) ci sono anche altre opportunità indirette che puoi cogliere per fare il bene della tua attività.

Infatti quando un colosso del caffè decide di investire in un mercato “vergine” come quello italiano, l’attenzione si sposta su quelle tematiche. Dobbiamo sfruttare tutto questo a nostro vantaggio. Perchè l’alternativa non c’è. O di adegui o ti estingui.

Ti indico le maggiori opportunità che abbiamo.

Opportunità #1: potremo parlare VERAMENTE di caffè.

Parlare di caffè significa sensibilizzare la clientela. Educarla. Formarla.

Parlare di caffè significa rendere consapevole la clientela riguardo alle scelte che compie. Significa spiegarle la differenza fra quella tipologia di caffè e quell’altra.

E quando hai a che fare con clientela educata, puoi trasmetterle tutto il valore del…

…TUO caffè!

Sì, sto parlando di fare la tua brand di caffè. Lo compri, lo lavori, lo tosti e lo vendi tu, elencandone i pregi e i difetti, e assicurandoti di disegnarla su misura per te e per la tua clientela. Ti sto dicendo di brandizzare una miscela, per creare qualcosa di unico e riconoscibile (parlo sempre di Signature Item, ricordi?) che avrai solo ed esclusivamente tu.

Starbucks lo fa già con estremo successo, con miscele esclusive e di proprietà. Lo puoi devi fare anche tu.

Conseguenze? Aumenti i prezzi, soddisfi i tuoi clienti.

E Starbucks può baciarcelo 😉

Opportunità #2: una fascia di clientela non verrà soddisfatta.

Nell’ipotesi — ancora tutta da confermare — che Starbucks abbia successo, verrà preso come punto di riferimento da una certa tipologia di clientela, europea e cosmopolita, appassionata di viaggi e sensibile ai suoi messaggi di marketing. Inevitabilmente ne lascerà scoperta un’altra, di tipologia di clientela.

Tu devi attirare quella. E dimenticarti di tutta quell’altra. Il tuo lavoro sarà più facile: perchè avrai un TARGET ben definito. E nel momento in cui sai chi sono i tuoi clienti, sai come raggiungerli. Sai come farli felici. Sai come fidelizzarli.

Un bell’esempio l’ho portato nel mio penultimo articolo, di una caffetteria & bakery artigianale a Praga. Corri a leggerlo.

Opportunità #3: si farà piazza pulita di operatori improvvisati e incompetenti.

E’ brutto e sadico da dire, ma questo succederà. Starbucks porterà ad una riflessione sempre più profonda riguardo a ciò che si sta facendo dentro la propria attività. E chi non sarà all’altezza della situazione, verrà semplicemente spazzato via. Chi da Starbucks, chi dai concorrenti di Starbucks più preparati.

Questo non deve demoralizzarti o demotivarti, deve spronarti a fare sempre meglio e a guardare il bicchiere mezzo pieno. Perché meno concorrenti improvvisati sul mercato significa più spazio per i professionisti che fanno il loro mestiere BENE.

Assicurati di essere tra questi!

Direi che abbiamo concluso.

Ti ricordo che se vuoi maggiori informazioni su FOOD MARKETING MASTERY, il corso che ti insegnerà come acquisire clienti per davvero per la tua attività nel campo della ristorazione, non devi fare altro che andare qui sopra e leggere la pagina.

Dacci dentro e buon lavoro.

(c) Lorenzo Ferrari
CEO & Responsabile Marketing
RistoratoreTOp

 

10 risposte

  1. Ciao ho letto l’articolo che parli di Starbucks. Molto interessante. Certamente spero che l’arrivo di Starbucks possa muovere qualcosa in Italia e che anche l’italiano vada al bar e chieda cosa sta bevendo. L’altro giorno leggevo commenti scritti dagli utenti della Gazzetta dello Sport sul tema Starbucks. Ovviamente non li ho letti tutti pero tutti quelli che ho letto parlavano della qualitá dell’espresso e non potevano venirci a insegnare a noi come fare. La situazione del cliente italiano e davvero disarmante e non sembra avere interessa a migliorare perchè in Italia siamo i migliori. Forse solo in un punto non sono d’accordo: quando dici che: Il personale di starbucks è competente. Forse sicuramentecome dici più preparato della metá di quelli che fanno caffè da noi. Ma non credo che questa competenza sia l’eccellenza. Ho conosciuto gente che lavora a Starbucks e non ne sapeva molto sul caffè. Nella norma, poche idee e confuse con macchine super automatiche, schiacciano un bottone e via. Però ti sto parlando di quello che ho visto io in qui in Messico dove vivo io. Poi magari a Seattle e Boston usano La marzocco e ci sono dei baristi veri. Certo che le comoditá dello Starbucks sono maggiori di qualsiasi bar italiano: i bagni prima di tutto. Per lo meno sulla moda del momento qui dove vivo riesco a trovare diversi caffe buoni e di specialità, e cappuccini ben preparati. Comunque dopo esco e vado allo Starbucks a riprovare…saluti

    1. Esatto Stefano. Non parlo di competenza del personale in senso assoluto, ma relativamente al nostro piccolo “universo”, quello italiano.

      Tieni presente questo: Starbucks non opererà nel vuoto. Non sarà solo sulla piazza. Anzi, è probabilte che Starbucks aumenterà la concorrenza sul settore bar, rendendola più competete e preparata. E il pubblico potrà scegliere tra lui e i rimanenti bar.

      Ed è chiaro che farà un confronto prima di scegliere, pesando i vari parametri e scegliendo quello più affine ai propri gusti.

      Oggi, razionalmente parlando, non ci sono tanti parametri dove il bar italiano (parliamo di media) batte Starbucks.

      Questo dovrebbe preoccuparci tutti. Specialmente chi ha un bar.

  2. Bravo Lorenzo

    hai centrato in maniera puntuale ció che accade in Italia rispetto al resto del mondo. Se anche Starbukcs non approdasse in Italia, rimane quello che in Italia NOI non siamo riusciti a fare.

    BRAVO ?

    1. Grazie Gabri, sai che detto da vale doppio. Starbucks sarà una “benedizione” per il comparto bar&caffè in Italia. Ci crediamo.
      A presto!

  3. Complimenti Lorenzo! Bellissimo articolo! Punta i riflettori su una serie di importantissimi temi chiave, che assolutamente condivido e che mi pare lo siano dalla maggior parte dei lettori.
    Ottimo anche l’evidenziare la totale mancanza di attenzione nella formazione del prezzo di vendita. Pochi considerano che il prezzo di vendita deve coprire tutte le spese, ovviamente in proporzione, incluse quelle relative all’usura della macchina che prepara la miscela….
    La mancanza di attenzione verso questi aspetti stà alla base delle difficoltà nei flussi di cassa ed ha quali conseguenze (innumerevoli a dire il vero) l’impossibilità di capitalizzare correttamente l’Azienda, rendendola più competitiva e, oltretutto maggiormente produttiva di reddito….
    L’improvvisare oggi non paga più, e molti ancora non se ne sono, purtroppo, accorti….

    1. Parole sante Pierpaolo.

      Si ha una inossidabile paura d’innovare, di fare qualcosa di diverso, di rischiare.

      Che è l’esatto opposto di ciò che dovrebbe fare un imprenditore. Infatti le conseguenze sono ovvie e sotto gli occhi di tutti.

      Io spero veramente che questa capitalizzazione italiana da parte di aziende estere (GROM acquisito da unilever, Domino’s che sbarca a Milano, Starbucks che decide di investire ecc.) porti davvero la classe imprenditoriale italiana a riflettere MOLTO BENE su ciò che è stato fatto fino ad oggi. Lo spero davvero.

      Un saluto e grazie del commento.

  4. Io so che Starbucks aveva programmato uno sbarco in Italia su vasta scala. L’analisi del settore aveva evidenziato la numerosità dei concorrenti cioè dei bar che ne fanno un settore frammentato secondo la definizione di M. Porter. Inoltre si evidenziava la debolezza finanziaria di questi concorrenti. Tutto ciò portava ad una facile conquista del settore. Il primo passo sarebbe stato il facile acquisto di centinaia se non migliaia di licenze bar.
    Questo era il piano strategico.
    Che però non si è realizzato perché non avevano tenuto conto di uno degli elementi caratteristici di un settore: le barriere all’uscita. In pratica i proprietari di bar, per tutta una serie di motivazioni, non hanno accettato di vendere la loro licenza.
    Così Starbucks ha ridimensionato il suo progetto d’invasione e ha puntato a aprire un limitato numero di punti vendita nelle grandi città.
    Non so se il progetto originario è stato messo da parte. Comunque oggi dopo il coronavirus il settore è purtroppo in fase di forte cambiamento e ridimensionamento sulla base di una selezione anche finanziaria.
    Un gruppo spregiudicato e veloce potrebbe sfruttare questa opportunità.
    Cordiali saluti

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