Puntualmente, quando sottolineo che il personale, in ristorazione, non c’è e non si trova, salta fuori il genio di turno che commenta con un “Non trovate personale? Pagateli e vedete che li trovate!”
Io ho ormai il latte alle ginocchia, la bava alla bocca e gli occhi ribaltati all’indietro al solo sentire questa fesseria. Così, visto che mi sono stancato di ribadire l’ovvio ogni volta a questi tizi senza arte né parte, ma soprattutto senza la capacità di comprendere le complessità, ho deciso di dedicarci una puntata del podcast, così alla prossima volta potrò rispondere con un semplice link.
Bentrovata e bentrovato, qui al microfono c’è sempre il tuo, il vostro, il nostro Lorenzo Ferrari che come sempre sono io.
Nell’ultimo triennio la discussione è stata monopolizzata da un tema estremamente rilevante e concreto: la mancanza di personale.
Ne ho parlato spesso in lungo e in largo, sia su palchi importantissimi come quello del Forum della Ristorazione, di fronte a 1.000 ristoratori, sia intervistato da telecamere di tutto rispetto come quelle del TG3 e sia sui nostri umilissimi canali, come questo podcast o il nostro canale Youtube.
Oggi vorrei fare il contenuto conclusivo, tombale, definitivo sull’argomento. Premetto sin da subito che sarò analitico e parlerò di tanti dati, mi scuso con quelli all’ascolto che volevano la narrazione, ma quando c’è da essere precisi mi tocca essere preciso.
Partiamo dall’inquadrare il fenomeno a livello sistemico.
Il fenomeno riguarda della mancanza di personale riguarda solo il settore Ristorazione e solo l’Italia? Assolutamente no. Il fenomeno è sistemico e globale, tanto che gli è stato dato un nome: The Great Resignation (le dimissioni di massa)
Tra aprile e giugno 2021 sono state 484.000 le dimissioni volontarie in Italia, su un totale di 2,5 milioni di contratti cessati. A trainare la Great Resignation italiana sono i lavoratori maschi: 292.000 uomini si sono dimessi, a fronte di 192.000 donne.
Rispetto al trimestre precedente le dimissioni volontarie sono aumentate del 37%: rispetto al totale delle cessazioni, il 18,7% è avvenuto su base volontaria (22,7% uomini, 14,8% donne).
E questo trend non si è fermato nell’ultimo triennio. Sembra che la gente si sia stancata di lavorare e “faticare” in genere. Non solo nel mondo del food!
Ora, stabilito che il personale manca in generale, non solo in Italia ma in tutto il mondo, non solo nel settore del food ma in tutti i settori, scendiamo nello specifico del nostro paese e in particolare del nostro settore.
Quali le cause relativamente al mercato della ristorazione? Ce ne sono 5 e le approfondiamo insieme.
RAGIONE #1 – Il calo demografico.
Ogni anno con il nostro Osservatorio Ristorazione misuriamo quanti italiani e stranieri siano presenti in Italia, lo facciamo dal 2019 ma i dati partono dal 2000. Tra i vari dati, misuriamo anche i nuovi nati.
Ebbene, è da dire il numero di nuovi nati sono in calo da sempre nell’ultimo ventennio, e nel 2023 si è registrato un nuovo minimo toccato dalle nascite, meno di 400.000 unità, 393.000 per la precisione (a fronte, peraltro, di circa 715.000 decessi)
Inoltre siamo sempre meno, anche contando gli stranieri, per la prima volta da decenni siamo scesi sotto i 59 milioni, siamo 58 milioni e rotti.
Questo, rapportato al mercato del lavoro, significa che da 20 anni abbiamo, ogni anno, meno «forza lavoro»
Questo è vero oggi e soprattutto lo sarà nel futuro. Questa penuria di forza lavoro negli anni passati era rimpinguata in parte da manodopera straniera, ma negli ultimi anni non è stato possibile, per via della pandemia da Covid-19 che ha limitato estremamente i viaggi, anche quelli per rimanere. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti.
Inoltre, è da dire che l’Italia è il secondo paese più vecchio del mondo dopo il Giappone. Nel nostro paese ci sono 2,4 overo 30 per ogni under 30. E indovinate chi è che viene a lavorare nei ristoranti? Esattamente, gli under 30, che non ci sono 🙂
RAGIONE #2 Aspettative non rispettate.
Come mostrerò tra poco, il «boom» delle iscrizioni alle Scuole Alberghiere è avvenuto nel 2014-2015, anno di massima popolarità di una trasmissione televisiva che ha portato alla ribalta un modello di ristorazione «patinato» e «cool» ma irrealistico, che non rende giustizia alla realtà delle cose. Sto parlando di Masterchef e programmi affini.
Questo ha creato una distorsione rispetto a ciò che significa realmente lavorare in ristorazione e, inevitabilmente, ad una grande delusione per chi si è approcciato al mestiere del cuoco o del cameriere con aspettative sbagliate.
La Ristorazione non è brillantini e riflettori, nastrini e tappeti rossi, studi televisivi e fama e successo, ma è fatta di ambienti con 45 gradi, chiusi, umidi e affollati, è fatta di chilometri e chilometri di cammino ogni giorno e di clienti non sempre educati e accomodanti, per usare un eufemismo. La ristorazione è orari massacranti, lavoro nel weekend, nelle festività, mentre tutti si divertono. La ristorazione non è quella che è stata dipinta in televisione.
E la delusione è stata cocente. E anche questo ha causato, come dimostrerò numrei alla mano tra poco, una disaffezione verso il settore.
RAGIONE #3 YOLO Economy, anche detto delle «Alternative più allettanti».
YOLO è un acronimo che significa You Only Live Once («si vive una volta sola»).
Questa tendenza sta portando i Millennials e la Generazione Z ad abbandonare il posto fisso e le sicurezze per avviare nuove attività. Non passa un giorno senza che si senta della coppia che è andata a vivere nel bosco e ora fa l’influencer dei lieviti indigeni, di quell’altro finito a Bali a fare il video-maker e di quell’altra trasferita su un eremo ad allevare lombrichi.
Questo perché non trovano adeguata soddisfazione in impieghi tradizionali.
Inoltre I giovani e giovanissimi hanno accesso a professioni che fino a qualche anno fa erano impensabili, basti pensare al fenomeno del lavoro da remoto o dello smart-working, alternative che, con meno fatica permettono di ottenere risultati migliori o uguali al lavorare in cucina o in sala, dove no, non si può lavorare da remoto.
Si traduce in: ma chi me lo fa fare di farmi il culo in cucina o in sala quando posso fare un lavoro in ufficio, o magari da casa, guadagnare leggermente meno ma avere tutta la vita da godermi? Onestamente, faccio fatica a controbattere.
RAGIONE #4 Scuole Alberghiere deserte.
Qual è lo stato dell’arte delle Scuole Alberghiere italiane? Quanto sono «attrattive» per gli studenti? Quanti nuovi alunni decidono di intraprendere questo percorso ogni anno?
Un fenomeno che vale la pena sottolineare e che trova riscontro nei dati riguarda la disaffezione da parte delle nuove leve nei confronti delle Scuole Alberghiere.
Per riassumere, la riassumo così: c’è stato un picco di iscrizioni nel 2014, poi una lenta decrescita, infine il crollo.
L’anno scolastico col maggior numero di iscritti agli istituti alberghieri italiani è stato il 2014-2015, con 64.296 studenti che hanno preso via alle lezioni di settembre. È stato l’effetto Masterchef? Probabile, visto che nei mesi precedenti era diventato uno dei programmi più visti in tv.
Numeri simili l’anno scolastico successivo (61.477). Da lì in avanti, la decrescita, minima ma costante: 55.825 nell’anno scolastico 2016-2017, 52.264 nell’anno scolastico 2017-2018, 47.437 nell’anno scolastico 2018-2019 e 41.916 nell’anno scolastico 2019-2020.
Insomma, dimezzate le iscrizioni alle scuole alberghiere nell’anno 2021-2022, -47,1% rispetto al 2013-2014, quindi in sei anni gli italiani che hanno scelto la scuola alberghiera si sono quasi dimezzati.
Dati e conclusioni simili ci arrivano da Accademia delle Professioni, con un focus sulla situazione Veneto, sempre su dati forniti dal MIUR:
«Tra istituti tecnici per il turismo e istituti alberghieri il calo nelle iscrizioni dal 2019 al 2021 è del 29,3%. Nello stesso periodo i licei registrano un aumento del 4,1% nonostante un calo demografico del 2,3%.
Licei che rappresentano 47,9% del totale degli iscritti contro l’8,4 del totale tra tecnici turistici e alberghieri.» ci dice Federico Pendin, Presidente di Accademia delle Professioni.
Non c’è più nessuno che vuole fare il cuoco o il cameriere, è fattuale e no, non è a pagarli che li si trova, capre ignoranti.
RAGIONE #5 Offerta non adeguata alla domanda.
Infine, arriviamo a ciò che ci viene contestato: contratti capestro, quando presenti, condizioni lavorative alienanti, ritmi faticosi, lavoro in nero, mancanza di alloggi decenti, promesse non rispettate ecc. ecc.
Tutte cose che ci sono eh, beninteso, non nasconderò di certo la testa sotto la sabbia.
Ma ricordo ai gentili telespettatori che fa più rumore un albero che cade rispetto alla foresta che cresce. I criminali nella ristorazione ci sono, esistono, sono tra noi, spesso siamo noi, ma sono MENO di quanto si creda. Sono pochi. Vanno cercati, puniti con il cilicio e messi in gabbia buttando la chiave, sì, ma sono pochi.
La ristorazione è un mercato di persone oneste e perbene, che assumono in regola, pagano i premi, i bonus, gli straordinari eccetera. Ma ci sono mele marce. E poi, è da dire, il fenomeno è a due velocità, e tra nord e sud le differenze sono abissali. Non ho dati a riguardo, ma direi che le evidenze ci siano e siano tante.
Purtroppo, però, queste mele marce hanno contribuito a creare un clima di sfiducia, o quantomeno di diffidenza, nei confronti del mondo della ristorazione.
Penso che occorra partire dalle fondamenta del settore, per offrire condizioni più attuali rispetto a quanto tradizionalmente offriva il mercato.
Infine mi permetterete una riflessione non suffragata dai dati, in quanto penso che tutte le motivazioni di cui sopra siano realistiche e importanti, ma non siano sufficienti a spiegare la portata del fenomeno.
Credo ci siano motivazioni più profonde e nascoste, legate alla cultura del lavoro e alla concezione del lavoro stesso. Pensiamo che quello che il Covid-19 ha lasciato in tutto il mondo è l’idea che, forse, si può vivere senza lavorare, o meglio si può togliere la fatica dal lavoro.
Mentre noi crediamo e sappiamo che la soddisfazione e la realizzazione si trovano anche dentro gli sforzi, i sacrifici e la fatica.
Insomma, chi vi dice pagali e vedrai che li trovi non capisce un cazzo e banalizza l’argomento alla stregua di chi generalizza su qualsiasi argomento.
Se conoscete qualcuno che la pensa così, fategli ascoltare questo podcast. Se non lo capisce nemmeno dopo questo podcast, io almeno potrò dire che c’ho provato.