ristoranti vuoti

Sono tutti sui Social, ma i Ristoranti vuoti: qualcosa non torna

Lavoro nel marketing per la ristorazione dal 2013. Sono 12 anni che mi alzo la mattina e lavoro fianco a fianco con ristoratori 24/7. Abbiamo aiutato, direttamente e indirettamente, più di 4.000 di loro a migliorare i risultati (qua alcuni dei loro pareri e risultati). 

Lo dico non per “fare il fenomeno”, ma per evitare di passare come:

  1. Quello che fino a ieri l’altro faceva la guardia forestale e ora si spaccia come esperto di marketing per la ristorazione;
  2. Quello che si sveglia la mattina con la voglia di “mettere il c*lo in mezzo ai calci”. 

Niente di tutto questo. Semplicemente vivo, analizzo e respiro il settore da 12 anni a questa parte: se e quando vedo un cambiamento, è mia responsabilità sottolinearlo.

Questo articolo vuole fare proprio questo. Denunciare che qualcosa è cambiato nel mondo del social media marketing per ristoranti. Mi rendo conto che andrò controcorrente, ma credo sia  necessario farlo. Perché troppi ristoratori sopravvalutano i social media, in alcuni casi arrivando ad idolatrarli, mentre credo sia l’ora di fare esattamente l’opposto: di ridimensionarli. Mi prendo la briga di farlo io. 

Ascesa e declino dei social

Non ce l’ho con i social. Anzi, sono stato tra i primi a promuoverli come strumenti di marketing potentissimi.

Nel 2013 dicevo ai miei clienti ristoratori: “Facebook è molto utile per il tuo locale, dovresti provarlo!”. Pochissimi mi credevano, la maggior parte storceva il naso.

Nel 2017 dicevo ai miei clienti ristoratori: “Instagram è molto utile per il tuo locale, dovresti provarlo!”. Pochissimi mi credevano (a dirla tutta nel 2015 non ci credevo neanche io, poi ho velocemente cambiato idea, convinto dai risultati raggiunti) e la maggior parte mi dava del matto. Qualche soddisfazione ce la siamo tolta quando, nel 2017, organizzammo Ristagram e parteciparono 300 ristoratori.

Comunque è da dire: c’è stato un periodo di tempo mooolto lungo nel quale unire “social” e “ristorazione” nella stessa frase suonava più o meno come una blasfemia

All’epoca erano considerati strumenti esotici, per ragazzini annoiati o per attempati alla ricerca di un gioco online. Lavorativamente parlando rimanevano ad appannaggio di pochi ristoratori “illuminati”, quei pochissimi early adopters in grado di vedere lontano, ma di certo non come strumenti per acquisire e fidelizzare molti clienti.

Poi, nel 2020, insieme ad una pandemia globale, è arrivata la svolta. Nel giro di qualche mese i social sono passati dall’essere un’alternativa per avventurieri ad un vero e proprio “must”, sono diventati onnipresenti, doverosi e accessibili. 

Il resto è storia: oggi apri qualsiasi app social e trovi, nel giro di qualche scroll, faccioni di ristoratori, chef e maitre che dicono la loro su qualsiasi cosa: piatto del giorno, novità del mese, pizza dell’anno, prezzo dei piatti, test di concorrenti ecc. ecc.

Il 2020-2021 rappresenta l’epoca d’oro dei social per la ristorazione. Perché? Semplice: eravamo rinchiusi in casa, quindi non sapevamo che fare se non abbuffarci di contenuti. Inoltre, le aziende (comprese le mie!) erano guidate da persone spaventate e, per questo, non inclini allo spendere e spandere. Il risultato? Alta attenzione da parte del pubblico, grande fame di contenuti, poca e spaventata concorrenza. L’El Dorado!

I risultati non si sono fatti attendere: clienti incollati agli schermi, ristoratori improvvisamente digitali e alle prese con questo nuovo mondo. Aggiungici un pizzico di “effetto novità” e voilà, la “tempesta perfetta” era arrivata: così i social hanno conquistato cuori e menti dei ristoratori italiani.

Ma sono passati 5 anni dal 2020, molte cose sono cambiate.

Negli ultimi 5 anni siamo passati dal “WOW, i social sono il futuro!” al “Ehm, siamo sicuri che ne valga la pena spenderci tutti questi soldi?”

Complice anche il fatto che, come dicevamo qualche tempo fa sul Corriere, il primo quadrimestre del 2025 non sta brillando per risultati, sono tanti gli imprenditori della ristorazione che si stanno domandando: ma ne vale la pena? Voglio provare a dare una risposta a questo quesito, partendo dal sottolineare 7 evidenze che non puoi permetterti di ignorare.

1. I social sono sovraffollati e SATURI. 

(fonti in fondo all’articolo)

Meta è la gargantuesca azienda che controlla, tra le altre, Facebook e Instagram. Negli ultimi due anni ha registrato una crescita incredibile nei suoi ricavi pubblicitari, con Facebook che ha raggiunto 3,06 miliardi di utenti attivi mensili nel 2024 (più di un essere umano su tre è ATTIVO su Facebook, è un numero incredibilmente alto!) e un fatturato di 164,5 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 134 miliardi dell’anno precedente. Nel 2025 si stimano 170,36 miliardi di dollari, con un incremento del 3,56% rispetto al 2024.

Vale la pena ricordare come Meta guadagna principalmente: vendendo pubblicità. E chi le compra queste pubblicità? Noi, le aziende, gli inserzionisti. Se lui guadagna di più, è perché noi tutti spendiamo di più

Cosa voglio arrivare a dire? Due conclusioni principali:

  1. Che siamo tutti sui social;
  2. E che ci spendiamo molto. 

Anche tu. Anche io. 

Insomma, oggi tutti sono sui social network, rendendoli sovraffollati di ristoranti, trattorie, pizzerie, osterie e bar che si arrabattano per ottenere l’attenzione degli utenti, i loro click e le loro visualizzazioni, spendendo e spandendo a più non posso.

2. Una storia al giorno su Instagram, tre post al giorno su Facebook, che non vede nessuno

(fonti in fondo all’articolo)

C’è stato un tempo in cui pubblicare qualcosa su Facebook o Instagram significava farlo vedere a tutti i tuoi follower. Sono qua per dirti che quel tempo è finito. Oggi la “portata organica” delle pagine — cioè quante persone raggiungi quando posti qualcosa senza investire in pubblicità — è praticamente a zero. Non ho bisogno di dati per convincerti, ti basta fare un test: vai sulla tua pagina Facebook o Instagram e guarda quante persone ha raggiunto l’ultimo contenuto non sponsorizzato che hai pubblicato. Vedo e prevedo: tra il 5 e il 10% dei tuoi follower. Un dato che, letto al contrario, suona più o meno così: il 90% di chi ti segue NON VEDE ciò che pubblichi.

Peggio ancora per quanto riguarda il cosiddetto “tasso di engagement” che misura quante persone interagiscono con i contenuti che pubblichi. Questo numero, globalmente, si aggira intorno allo 0,50% in rapporto ai follower, in calo di circa il 28% su base annua. 

Hai 1.000 follower? Quando pubblichi un contenuto vi interagiscono, mediamente, 5 persone. Non ho sbagliato a scrivere e tu a leggere 🙂 Suona male? Su Facebook è persino peggio: l’engagement rate medio per post è circa dello 0,15% – un numero molto più basso rispetto a Instagram.

Ma c’è una bella notizia: la categoria “Dining, Hospitality & Tourism” (che include i ristoranti) ha tassi di engagement superiori alla media delle altre industrie, soprattutto su Instagram. 

Nei primi mesi del 2025, un post medio su Instagram nel settore ristorazione ottiene circa il 3,1% di engagement. Anche i Reel di Instagram mostrano ottime performance, con un engagement medio intorno al 2,6% nello stesso settore. Su Facebook, il tasso di coinvolgimento per i contenuti delle aziende di ristorazione è più basso ma comunque attorno all’1,3%.

Cioè: noi che lavoriamo nel settore della ristorazione ce la passiamo MOLTO meglio della media, ma comunque molto peggio di come ci ha raccontato l’agenzia: quando pubblichi un post o un reel vi interagiranno tra lo 0,5% e il 5% delle persone che ti seguono

Un po’ pochino, considerando gli sforzi che fai per crearli e i soldi che spendi per mostrarli.

Perché accade questo? Per due motivi principali:

  1. Non ci sono abbastanza occhi e orecchie per assorbire tutto il contenuto creato. Non ho dati “freschi”, ma è sotto gli occhi di tutti che negli ultimi anni la mole di “contenuto” online sia cresciuta esponenzialmente. Il fenomeno è esacerbato dall’Intelligenza Artificiale. Oggi si può produrre contenuto come se non ci fosse un domani, con sforzi pressoché nulli. La domanda è: ma chi lo consuma?
  2. Il conflitto d’interesse delle piattaforme. Meta — così come TikTok — guadagna vendendo spazi pubblicitari. È del tutto normale che cerchi di venderne altri, disincentivandoti a pubblicare gratuitamente. Non ha alcun interesse a mostrare i tuoi contenuti gratis quando può mostrare quelli di altre persone che sono ben felici di spendere per farlo.

Il messaggio è chiaro: se non investi in sponsorizzate, nessuno o quasi dei tuoi clienti o potenziali clienti vede o interagisce con ciò che pubblichi. La visibilità non è più un diritto acquisito, ma una pubblicità che devi… Pagare. 

Si può diventare “virale” senza investire? Certo, anche se non in modo prevedibile. Ma ci sono due ulteriori considerazioni:

  1. Innanzitutto non è detto che ti serva: perché raggiungere milioni di persone quanto ti è sufficiente raggiungere poche decine di migliaia di persone, cioè il tuo pubblico target? Ricorda che l’esposizione mediatica non è gratis: il prezzo da pagare (in termini psicologici, di gestione emotiva, di stress ecc.) è molto alto.
  2. In secondo luogo dovrai imparare a conoscere, “hackerare” e quindi compiacere l’algoritmo, pubblicando contenuti polarizzanti, dissacranti, divertenti e in generale lontani da ciò che ti serve effettivamente per portare clienti dentro al locale.

3. I costi pubblicitari esplodono: spendi di più, ottieni di meno (e la sostenibilità MUTA!) 

(fonti in fondo all’articolo)

Facciamo un breve riassunto:

  • Sono tutti sui social;
  • Ma sono pochissimi quelli che ottengono visibilità.

La soluzione? SPENDERE! 

Investi in pubblicità → Ottieni visibilità. 

Peccato che non sia così facile. Perché, recentemente, i costi pubblicitari sono letteralmente esplosi, rendendo oggi l’advertising MOLTO più oneroso rispetto anche solo al 2020 (figuriamoci rispetto agli anni precedenti). 

Ti do tre evidenze:

  • Costo per Mille impression (CPM) cioè la spesa che sostieni per raggiungere 1.000 visualizzazioni. Sono qua per dirti che in 5 anni è quasi raddoppiato. Nel 2020 – complice la pandemia – si registravano CPM molto bassi. In seguito i prezzi sono esplosi: ad esempio, il CPM medio è balzato da circa 5,61 $ nel 2023 a 8,70 $ nel 2024 (+55% in un solo anno). In Italia, i valori sono analoghi: a fine 2024 il CPM medio si aggirava sui 10,3€ per 1.000 impression (doppio rispetto al 2020).
  • Costo per Clic (CPC) cioè il costo che devi sostenere per accaparrarti il clic di un utente su un tuo annuncio. Anche il costo per clic è aumentato nel periodo. Storicamente il CPC su Facebook era intorno ai 0,40$ (0,39$ nel 2017 e 0,44$ nel 2021). Entro il 2024 è salito a circa 0,58 $ in media. Durante il lockdown del 2020 si erano toccati minimi di 0,33$ ad aprile 2020 (circa il 23% in meno rispetto ad aprile 2019) quindi rispetto a quel fondo i CPC odierni risultano superiori di oltre il 75%. Ciliegina sulla torta? Il food & beverage era uno dei settori con CPC più bassi (circa 0,42$ per clic, il più economico in assoluto) ma anche qui i costi sono aumentati. Oggi registriamo circa 0,52$ di CPC medio nelle campagne di traffico. 
  • Costo per Acquisizione Cliente (CAC) / Cost per Lead (CPL) cioè il costo per ottenere una conversione o un nuovo contatto è cresciuto negli anni. In generale, il costo medio per lead su Facebook è passato da circa 19,7$ qualche anno fa a oltre 23$ nel 2023. Nel nostro settore le campagne Facebook presentano oggi CPL tra i più alti: un’analisi recente mostra un costo medio ~45$ per lead nel segmento Restaurants & Food. Scusa se lo sottolineo: 45$ per un lead, nemmeno per un cliente. Sono cifre, letteralmente, folli. Ciò significa che convertire clic in clienti (ad esempio iscritti a una newsletter o prenotazioni) richiede oggi investimenti MOLTO maggiori rispetto a cinque anni fa.

Il riassunto? Spendi di più, ottieni di meno.

Quelli “studiati” diranno che se sei bravo, se sai come si fa, se hai una strategia, i social funzionano anche oggi, nonostante i costi siano aumentati. E hanno ragione

Anche noi otteniamo risultati e ne facciamo ottenere con i social. Però sarebbe disonesto intellettualmente non dire che oggi sia MOLTO più difficile di ieri. Lo vediamo perché è sotto gli occhi di tutti che oggi, ottenere risultati non solo è più difficile, ma anche più costoso, ed è più raro riuscirci. Qualche tempo fa stare sui social era come vincere una partita al campetto dell’oratorio. Ora sei in Champions League.

4. Non solo più concorrenti, ma molto più bravi di ieri! 

Nel 2020 il contenuto medio sui social era dozzinale, amatoriale e di pessima qualità. Bastava girare lo smartphone verso sé stessi, far partire una diretta (all’epoca spopolavano le “live”!) e semplicemente… Parlare. Il gioco era fatto. Niente microfoni professionali, niente videocamere, persino niente montaggi o sottotitoli. E soprattutto formati orizzontali, fruibili prevalentemente fa PC…

Per realizzare un contenuto come quelli serviva una videocamera qualunque e una connessione ad internet. E “funzionava”.

Oggi il mercato dei contenuti video è letteralmente stato stravolto. Oggi per “bucare” lo schermo è importante, oltre al contenuto in sé, anche la “scatola”:

  1. Formato nativamente verticale, ideale per smartphone;
  2. Audio professionale;
  3. Video di qualità altissima (a volte persino troppo per i social!)
  4. Script da seguire alla lettera;
  5. Montaggi serrati con effetti e transizioni;
  6. Sottotitoli;
  7. Ecc. ecc.

E non stiamo parlando di “eccezioni”, stiamo parlando di semi-normalità. Mentre fino all’altro ieri bastava esserci, oggi se vuoi esserci ed essere considerato, devi essere eccezionale, bravissimo. 

Certo, ci sono tool AI che semplificano parecchio la gestione dei contenuti e permettono di ottenere risultati più che soddisfacenti con pochissimo sforzo (ad esempio in RISTORATORETOP usiamo Opus.pro, HeyGen e tanti altri) ma la gestione di questi strumenti richiede comunque abilità, tempo e professionalità.

5. Le metriche di vanità

Nonostante sia tempo che parli di tutte queste evidenze, rimangono moltissimi — la maggioranza — i ristoratori che decidono semplicemente di mettere la testa sotto la sabbia. Secondo loro i social “funzionano”. 

E come misurano che funzionano? Ma ovviamente con le vanity metrics, le metriche di vanità: like, cuoricini, follower, visualizzazioni, condivisioni, commenti e in generale tutto ciò che succede dentro le piattaforme (e lì rimane)

Lo dico chiaramente: i social servono ESCLUSIVAMENTE a portare fuori le persone dai social. Se un commento rimane un commento, una visualizzazione rimane una visualizzazione, una condivisione una condivisione, non ti servono a niente. 

Se ad un “cuoricino” non segue una prenotazione, se ad una visualizzazione non segue un messaggio su Whatsapp ad un amico con su scritto “Andiamo?”, se ad un messaggio di complimenti non segue un cliente con le gambe sotto al tavolo, allora non servono a niente. Non puoi e non dovresti creare contenuti con il solo scopo di creare engagement, dovresti creare contenuti con l’obiettivo di riempirti il locale!

A trasformarle in clienti e coperti paganti. Altrimenti sei famoso sui social ma è come essere ricco a Monopoly: ti dà un argomento di discussione a cena, ma non ti aiuta a metterla sul tavolo, la cena.

6. Le eccezioni che assurgono a regole

Ma vedo e prevedo le obiezioni: “Lore, tutto bello ‘sto discorso ma c’è chi sui social ha successo, è innegabile…”

E di solito mi citano:

  1. All’Antico Vinaio;
  2. Con Mollica o Senza e il suo fondatore Donato;
  3. Il socio di Donato, Steven Basalari;
  4. Qualche pizzaiolo napoletano famoso o famosissimo;
  5. Ecc. ecc.

Queste persone esistono e sono la prova vivente che i social, se utilizzati in un determinato modo, rappresentano una gigantesca opportunità? Sì, certamente, i social sono un’opportunità. Ma non imperdibile come molti credono e sostengono.  

Anzi, la mia tesi è praticamente all’opposto: tutti questi imprenditori erano, sono e saranno eccezionali (cioè rappresentativi di un’eccezione o in possesso di un’abilità eccezionale) indipendentemente dai social, non grazie agli stessi. 

Se i social non fossero esistiti, avrebbero comunque trovato il modo di raggiungere un successo simile — se non proprio uguale: un talento rimane un talento indipendentemente dalla tecnologia di cui dispone. A sostegno di ciò, i “personaggi” esistono da molto prima dell’invenzione dei social, i quali li hanno semplicemente gonfiati e spinti ulteriormente, ma non creati. I social sono un media, come lo era la televisione prima di loro e la radio prima della televisione, e i personaggi sfruttano i media per ottenere visibilità, fama, successo.

Inoltre dobbiamo guardare in faccia la realtà. E la realtà è fatta di dati, numeri, fatti, statistiche.

Allora domando a chi legge: quanti sono i ristoratori italiani che hanno successo prevalentemente grazie ai social? Quanti sono? Dieci? Cento? Un milione? Impossibile saperlo con precisione, perché andrebbero prima individuati (e qua ci troveremmo di fronte al primo, enorme, problema, di attribuzione del successo) e poi contati. Ma proviamo ad esagerare.

Facciamo finta che siano 1.000, i locali in Italia, che hanno successo prevalentemente grazie ai social network (cosa improbabile, visto che sui social i “volti noti” son sempre gli stessi, ma l’esempio è volutamente provocatorio)

Bene, sai che in Italia ci sono 327.850 ristoranti mentre scrivo? Vorrebbe dire che se si sono 1.000 locali che hanno successo prevalentemente grazie ai social, significa che lo 0,3% ha successo prevalentemente grazie ai social, mentre il rimanente 99,7% no.

Sto tirandola per i capelli? Certo. Quello che voglio arrivare a dire è che sono moltissimi di più i locali che hanno successo SENZA i social che GRAZIE AI social. E questo è un dato inoppugnabile e sotto gli occhi di tutti. 

E, se una persona ha successo sui social non è da assurgere a caso studio definitivo da cui tutti dovremmo prendere spunto, ma più probabilmente è il caso limite che sfugge alle statistiche, la classica eccezione che conferma la regola.

7. L’aspetto più grave? Pensare che non ci sia alternativa ai  Social

L’aspetto più assurdo e inquietante al tempo stesso di tutta questa faccenda? Che i ristoratori continuano a pensare che marketing = social. È più forte di loro. Non riescono ad uscire da questo loop.

E se ne convincono pensando: “Ma se non faccio i social, che cos’altro faccio?” 

Le alternative ai social sono innumerevoli (e spesso sono molto più efficaci). 

Ti mostro questa immagine:

Questo invece è il peso dei social sul marketing:


Il pericolo più grande: credere che non ci sia alternativa! C’è, ci sono, sono molteplici, ma non le conosci ancora. Se vuoi scoprirne decine e decine, puoi venire a Food Marketing Mastery.

Tutti sono sui social, ma nessuno si chiede se funzionano davvero

Misurare SE e QUANTO i social funzionino è semplicemente impossibile. I processi di scelta e di acquisto dei clienti che scoprono, valutano, scelgono e si fidelizzano ai ristoranti sono così tanti e così complessi che il ruolo dei social è misurabile solamente in una piccolissima parte. 

Noi di RISTORATORETOP siamo tra i pochi che, da anni, provano a stimare la loro efficacia per il settore della ristorazione. Per provare a misurare l’effettiva efficacia dei canali di acquisizione clienti elaboriamo una statistica annualmente che indaga il processo di scoperta dei clienti.

Chiediamo, tramite la nostra piattaforma proprietaria Plateform.app, installata in più di 4.200 ristoranti in Italia, a qualche milione di clienti l’anno “Come ci hai conosciuto la prima volta?” e analizziamo i risultati.

I numeri ci dicono che sono solamente 14 su 100 i clienti che scoprono i loro ristoranti preferiti sui Social Network.

Ma gli altri 86?

Si dirà che i social non servono solamente a far scoprire locali, ma anche a rimanere in contatto con i propri locali preferiti, a fare passaparola digitale ecc. ecc. Tutto vero, ma i fatti rimangono: la maggior parte del budget di marketing dei ristoranti viene spesa sui social network, i quali non sono così efficaci come si pensa.

Insomma, le considerazioni fatte finora rimangono: tutti sono sui social perché tutti sono sui social.  Nessuno si chiede se realmente stiano funzionando e quanto lo stiano effettivamente facendo. Nel mentre si continuano a spendere migliaia di euro al mese per portare avanti una battaglia dall’esito del tutto incerto.

Perché questa cosa accade? Io mi sono dato due spiegazioni:

UNO. La trappola della riprova sociale: “Se lo fanno tutti, non può essere sbagliato”

Il primo meccanismo è psicologico, quasi primordiale: la paura di essere l’unico a sbagliare.

Nel momento in cui tutti i ristoranti della zona sono su Instagram, fanno stories, pubblicano reel, urlano e scalpitano, scatta un riflesso automatico: “Se loro lo fanno… allora dovrò farlo anch’io.”

E magari figli e nipoti rincarano la dose: “Ma come mamma / papà / zio / zio, non sei sui social? Guarda che i miei amici sono tutti lì…”

Questa è la Riprova sociale: un bias cognitivo potentissimo. L’idea che la massa non può sbagliare. Che seguire il branco è sempre la scelta più sicura. Ma nel marketing per la  ristorazione fare ciò che fanno tutti significa spesso ottenere gli stessi scarsi risultati di tutti.

Risultato? Una marea di locali che pubblicano ogni giorno per non perdere terreno, ma senza strategia, senza ritorni, senza controllo.

DUE. La trappola dell’autoconvincimento: “Almeno faccio qualcosa”

La seconda ragione è ancora più subdola: “Non sarà la svolta… ma almeno tengo vivo il nome. Peggio sarebbe non fare nulla.”

È una forma mascherata di rassegnazione operativa. Il ristoratore lo sa, in cuor suo, che quei post non stanno portando clienti veri. Che le sponsorizzate che “vanno benissimo” (perché fanno tanti like) non generano coperti. Mi ricorda un po’ il detto “l’operazione è andata benissimo ma il paziente è morto”. Ma continua, perché smettere vorrebbe dire ammettere che non sta funzionando.

E così si resta intrappolati in una ruota:

  • si continua a postare “perché qualcosa succede”
  • si continua a spendere “perché se no il profilo muore”
  • si continua a credere “che il nome almeno gira un po’…”

Ma il marketing non è far girare il nome. È far girare i tavoli.

E se quella che chiami “presenza” sui social non porta né clienti né prenotazioni, non è marketing: è un hobby molto costoso.

Ristoratore, ristoratrice, ti scrivo una massima di vita che mi accompagna da tutta la mia vita adulta: “When they zig, you zag.”

Quando tutti fanno qualcosa, è molto probabile che la soluzione giusta sia fare l’opposto.

La soluzione? Pensare con la tua testa. 

Per capire se investire sui social, quanto investirci, che peso dare agli stessi nella tua strategia di marketing, che esposizione nei loro confronti dovresti avere hai una sola possibilità: pensare con la tua testa.

Perché se ascolti le piattaforme certo che ti diranno che devi investirci.

Se ascolti le agenzie o i “cugggini” certo che ti diranno che devi investirci.

Hanno un netto e deciso conflitto d’interessi a riguardo.

Ma tu non ne hai uno. E se studi, ti informi, misuri i numeri giusti, cioè in una parola impari a fare marketing per davvero con il tuo ristorante, sarai autonomo e autonoma.

Da dove iniziare? Dalla FORMAZIONE.

Si inizia dalla FORMAZIONE. Sempre e comunque.

👉 Perché senza formazione non sai cosa stai comprando. Se non conosci il marketing, ogni preventivo che ricevi da un’agenzia è come un menù scritto in ungherese, senza foto. Potrebbero dirti che una campagna da 1.500€ serve per “posizionarti meglio” e tu, non sapendone nulla, accetti. Ma… posizionarti dove? Per chi? Con quale ritorno? La formazione ti dà le basi per capire, valutare e decidere. E non farti fregare.

👉 Perché ti serve un navigatore, non un autista. Un’agenzia è come un autista: ti porta dove vuoi. Ma se non sai la destinazione, ti porta ovunque tranne dove ti serve. La formazione è il navigatore. Ti aiuta a capire dove vuoi andare e solo dopo puoi decidere chi ti ci deve portare.

👉 Perché senza strategia, ogni azione è un costo. Ti faccio una domanda secca: se spendi 800€/mese per postare 3 foto e 1 reel… ma non sai se portano clienti, è investimento o spesa? Senza formazione non puoi misurare. E senza misurare, stai solo sperando.

👉 Perché il marketing è tuo. Sempre. L’agenzia va, viene, cambia clienti. Ma il tuo ristorante rimane tuo. E la capacità di attrarre clienti non può dipendere da qualcun altro. La formazione ti dà il know-how per non essere mai più ostaggio. Puoi scegliere a chi affidarti da competente, non da ingenuo.

E il corso di formazione migliore sul mercato è Food Marketing Mastery, il corso di riferimento sul marketing per la ristorazione in Italia, che ti spiega, una volta per tutte, TUTTO quello che devi fare per avere il ristorante pieno, anche in settimana.

Questo corso è ciò che devi fare:

  1. PRIMA di investire in marketing;
  2. PRIMA di affidarti ad un’agenzia o a dei consulenti (anche a noi!)
  3. PRIMA di spendere anche UN solo euro in pubblicità di qualsiasi tipo.

Prima di spendere, devi capire perché e come. Farlo ad occhi chiusi equivale giocare a mosca cieca in autostrada!

Considera Food Marketing Mastery come la patente prima di acquistare una macchina. Prima di metterti al volante, devi conoscere le regole del gioco. O rischi di fare degli incidenti molto pericolosi e dolorosi.

Perché fidarsi?

✅ Il corso di riferimento sul marketing.

✅ 4 edizioni (prima nel 2016) 

✅ +600 partecipanti.

✅ 98% grado di soddisfazione dei partecipanti.

Tra chi ha partecipato c’è chi ha:

👌 Aperto nuovi locali.

👌 Triplicato il fatturato.

👌 Raggiunto i 10M.

👌 Smesso di inseguire i clienti perché adesso li attira.

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Io ti saluto, ma soprattutto ti aspetto nei commenti per sapere la tua (anche solo per un “grazie”!)

#daicazzo

Lorenzo Ferrari
Founder & Co-Owner

RISTORATORETOP®

Fonti: 

10 risposte

  1. wow, che articolo! L’ho trovato un po’ troppo ma ricco di dati e riflessioni concrete. L’analisi sull’importanza del passaparola rispetto ai social è tanta robai. Un pezzo del genere dovrebbe essere lettura obbligatoria per ogni ristoratore, perché aiuta a capire che i social sono solo una parte di un sistema di marketing molto più complesso

    Grazie per questa disamina chiara e approfondita!

      1. Ho un piccolo ristorante e non sono riuscita ad abituarmi a diventare social. Ho sempre pensato che posso mettere la mia faccia a dire qualsiasi cosa, ma non crederanno mai a me, ma ascolteranno e crederanno ai clienti che sono stati da me. Sto facendo ancora fatica a riempire i tavoli perché ho aperto in pieno lockdown e sto pian piano facendomi conoscere. Vi seguo con molto interesse. Grazie per i consigli.

        1. E’ una grande verità: il parere dei clienti batte sempre 10 a 0 quello del ristoratore (che elogerà sempre il suo vino)
          A presto Claudia e grazie!

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